Now Reading
L’arte al servizio dell’ambiente – In alta Val di Sole una mostra sui rischi del climate change
Melinda, ricavi e liquidato in crescita 
Ciao Matteo

L’arte al servizio dell’ambiente – In alta Val di Sole una mostra sui rischi del climate change

Venerdì 28 giugno al via la mostra “La forma del vento”: dieci installazioni dell’artista trentino Stefano Cagol per sensibilizzare sulle conseguenze spesso sottovalutate dei cambiamenti climatici. All’inaugurazione un gruppo dei ragazzi del movimento internazionale Fridays for Future, ideato dalla svedese Greta Thunberg
Ossana, 11 giugno 2019 Anche l’arte si pone al fianco delle nuove generazioni che, con uno “sciopero mondiale pro-clima” mai visto prima, stanno tentando di dare una scossa ai governanti di tutto il globo. Obiettivo: aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sui rischi che l’intera umanità sta correndo per colpa dei cambiamenti climatici causati dall’uomo. Un trend preoccupante che certamente interessa, in primo luogo, i delicati ecosistemi montani.
Per questo, il pittoresco scenario del Castello di San Michele, nel borgo di Ossana in alta Val di Sole, ospiterà per tutta l’estate la mostra “La forma del vento” (aperta tutti i giorni dalle 10 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.30 Ingresso: 4 euro, include biglietto di entrata al castello). Il giorno scelto per l’inaugurazione – il 28 giugno – è un venerdì. E non è un caso: è il giorno che dà il nome a Fridays for future, il movimento studentesco mondiale nato con la giovane attivista svedese Greta Thunberg, che sarà presente, con una delegazione, al taglio del nastro.
La mostra è stata realizzata dall’artista trentino Stefano Cagol: attraverso installazioni, video e opere fotografiche, si confronta con temi globali quali la sparizione dei ghiacci e il climate change. Sarà presentata al pubblico una selezione di una decina di opere, alcune realizzate appositamente, altre che attingono alle esperienze più significative dell’artista, dando vita a un percorso espositivo fortemente evocativo e immersivo: neve che brucia, zolle di terra che fuggono in aria, un terreno che viene ancora ferito. Occasioni di molteplici livelli di lettura, evocativi di una realtà complessa che spesso viene sottovalutata, ma che è già di fronte ai nostri occhi (e provoca danni alla nostra vita quotidiana).
“Ho scelto di partire da elementi fortemente legati all’identità di questo luogo d’eccezione, il Castello di San Michele di Ossana, abbarbicato su uno sperone di roccia ventoso all’incrocio tra le valli, a picco sul corso d’acqua, in un luogo dove la storia narra di antiche miniere” spiega Cagol. “Da questi spunti, ho scelto di procedere per metafore affiancando scenari diversi tra loro, come molteplici tasselli di un unico mosaico, di quel tema tanto importante quanto inafferrabile nel profondo come il cambio climatico”.
Le opere selezionate affrontano cause ed effetti, macro e microsistemi, fenomeni iperdiffusi che però al tempo stesso sono difficili da afferrare. Mutevoli, multiformi. Incostanti, proprio come il vento. “I fenomeni inaspettati del clima hanno portato tragedie anche in questi territori e negli ultimi tempi il vento ha sradicato le piante in più luoghi in queste vallate alpine” ricorda il sindaco di Ossana, Luciano Dell’Eva. “Troppo spesso notiamo la natura solo quando si manifesta in maniera estrema e distruttiva, senza accorgerci che questi sono sintomi inesorabili di un sistema complesso di cambiamenti climatici e di disequilibrio nel nostro rapporto con la natura”.
La presenza a Ossana di una mostra che punta a far riflettere sui cambiamenti climatici non è comunque casuale. Il borgo trentino infatti, da anni sta portando avanti una serie di scelte per ridurre la propria impronta ecologica, a partire dalla concessione a canone agevolato di un negozio di prodotti alimentari sfusi a KM0 e la riqualificazione energetica dell’illuminazione pubbliche. “La nostra è una scelta etica e di responsabilità verso la nostra cittadinanza e le future generazioni – osserva l’assessore alla Cultura e al Turismo, Laura Marinelli – ma c’è anche un ritorno economico in nostro favore. Il nostro Comune, due anni fa, è stato insignito del riconoscimento di “cielo più bello d’Italia” da “Astronomitaly”, Rete Nazionale del Turismo Astronomico, con l’obiettivo di valorizzare i luoghi a bassa percentuale di inquinamento luminoso. Tutelare il nostro territorio significa garantire un futuro di benessere e prosperità alle nostre imprese e alla nostra gente”.
 
LE OPERE IN MOSTRA
In “Over Two Thousand” (2007) la neve è in fiamme. Questo ossimoro è stato innescato dall’artista sulle Alpi per realizzare l’opera video. Non è ricorso a meccanismi digitali, ma ha messo alla prova le leggi stesse della fisica. Le lingue di fuoco si muovono con naturalità sinuosa e sempre diverse, toccando il ghiaccio e il cielo, evocando infiniti intrecci di opposti: tra attrazione e fuga, terra e cielo, presenza umana e natura, energia e distruzione…
L’opera ricorda il processo in atto di sparizione dei ghiacciai, che affligge in particolare anche quelli presenti sulle Alpi e sulle cime tutte attorno, dove la concentrazione dei ghiacciai, tra catene dell’Adamello Brenta e Ortles Cevedale, è particolarmente fitta. Sono quei ghiacciai che l’artista quando era piccolo sentiva chiamare dal padre “ghiacci eterni”. Alla fusione dei ghiacciai rimanda anche un altro progetto dell’artista dal titolo “The Ice Monolith”, realizzato per la Biennale di Venezia nel 2013 come parte del Padiglione nazionale delle Maldive, tutto rivolto alle problematiche del cambio climatico. A Venezia Cagol aveva portato un blocco di ghiaccio lasciato fondere, rimbalzato da The New York Times e BBC e ora consacrato nell’ultimo libro della studiosa americana Julie Reiss, tra le tre opere che hanno raccontato meglio l’oggi usando il ghiaccio. L’idea di un futuro in pericolo torna nella recente performance “Eterno” della quale in mostra vediamo una documentazione video: una lapidaria scritta che richiama l’immutabilità dello status quo e, invece, subisce un inesorabile processo di svanimento.
“New Experiments on Vacua” (2016) è il titolo del corpus di opere video e fotografiche che Stefano Cagol ha realizzato nell’area tedesca della Ruhr, famosa per il suo intenso sfruttamento industriale e minerario. Il vuoto del titolo (una citazione da un’opera dello studioso del ‘600 Blaise Pascal) evoca le cavità del sottosuolo, ma diviene anche simbolo della distanza che abbiamo preso dalla natura. L’opera instaura un inevitabile collegamento con il passato dell’area, legato alla presenza di miniere e allo scambio delle materie prime, mettendo in evidenza il cambiamento del nostro rapporto con quanto ci circonda. Della serie fanno parte immagini nelle quali zolle di terra fuggono verso il cielo e un piccone continua a ferire il terreno. L’artista evoca figure fuori dal tempo e dallo spazio, misteriose come quella figura che imbraccia in “Trigger the Border” (2013) uno spray per generare una fiammata verso la luna, al tempo stesso cavaliere e drago. “Generavo fiammate incendiando il gas di una bomboletta di lacca di capelli, imitando le ostentazioni di predominio delle gang metropolitane e simulando metaforicamente le emissioni nocive della società contemporanea” racconta l’artista di quest’opera realizzata nella notte artica, in luoghi dell’estremo nord dove Cagol ha lavorato molto a partire dal 2010, dichiarando quanto l’esperienza artica abbia cambiato la sua ricerca.
Artico e Antartico. L’installazione “Bouvet Island” fa parte di una serie di sculture in alluminio tagliato e piegato a mano che l’artista realizza sul posto per dare vita a opere ogni volta uniche. Prende il titolo da un’isola norvegese, ma nell’Antartico, considerata una delle isole più remote del pianeta, fatta di roccia e ghiaccio, inavvicinabile per l’uomo, ma ricca di fauna, tanto da rappresentare simbolicamente gli opposti e le contraddizioni della nostra vicinanza-distanza dalla natura, amplificate dal Caso Vela, l’esplosione nucleare tra le più misteriose, registrata vicino a quest’isola dai rilevatori, mai rivendicata.
Nell’opera video “Flags” (2007) ombre si muovono freneticamente su immobili mura antiche evocando attraverso un’immagine astratta la forza dei venti. Fanno riflettere sul fatto che aumenti nella velocità dei venti sono stati registrati in un atlante europeo dal Risø National Laboratory e lo scenario sui cambiamenti climatici prevede già da tempo come “le velocità estreme del vento aumenteranno di circa il 5-10% nei prossimi 100 anni” (Räisänen et al., 2003), mentre la circolazione delle masse d’aria dell’alta troposfera che influiscono sul clima a livello dell’atmosfera terrestre viene inesorabilmente rilevata come mutata – a causa di un processo identificato come amplificazione artica.
A chiosa dell’intera mostra, l’opera eponima “La Forma del Vento”, realizzata in maniera site-specific in relazione con l’architettura e con il luogo, dialoga con il vento come elemento della natura onnipresente su questo sperone di roccia. Ricordando antichi stendardi, queste “streamer flag” di decine di metri, visibili da lontano, disegnano e sottolineano il vento, la sua presenza, il suo mutare.
 
L’ARTISTA
Stefano Cagol (Trento, 1969) nel 2019 è protagonista di una mostra personale al MA*GA Art Museum di Gallarate e partecipa alla Biennale di Curitiba e alla mostra Scrivere la storia del futuro allo ZKM di Karlsruhe.
Ha partecipato alla 2a OFF Biennale Cairo, Manifesta 11, 55a Biennale di Venezia, 1a Biennale di Singapore. Tra i riconoscimenti, ha ricevuto il premio Visit di Innogy Foundation e il Premio Terna per l’arte contemporanea, inoltre ha all’attivo la partecipazione a numerosi programmi di artist in residence a livello internazionale. 
Ha studiato all’Accademia di Brera a Milano e ottenuto una borsa di studio post-dottorato del governo canadese in video arte presso la Ryerson University di Toronto.  
 
IL CASTELLO
Il castello risale probabilmente all’epoca dei Longobardi (secoli VI-VIII); ma le prime testimonianze del Castello di Ossana o Castello di San Michele, chiamato così dal santo a cui era dedicata la cappella, risalgono al 1191. Posto in posizione strategica tra la regione trentina e l’alto bresciano, godeva di una piena amministrazione civile e penale coperta dalla Curia Episcopale. Costruito su uno sperone di roccia difficilmente accessibile da tre lati, fu abitato da diverse famiglie nobiliari: prima funzionari vescovili, poi i conti Tirolo-Gorizia. Nel XV secolo l’investitura passò ai de Federici della vicina Val Camonica, poi agli Heydorf e ai Bertelli. A cavallo fra Ottocento e Novecento fu comproprietaria del maniero Bertha von Suttner, Premio Nobel per la pace nel 1905. Il castello presenta nel suo possente mastio alto circa 25 metri l’elemento architettonico più caratteristico e meglio conservato dell’intero complesso.
Di interesse nel comune di Ossana è anche la Casa degli affreschi, raro esempio di casa medievale con decorazione pittorica quattrocentesca rimessa in luce nell’estate del 2000. Il ciclo affrescato è di particolare interesse perché, accanto a soggetti religiosi, presenta scene a carattere profano e assai rari sono gli apparati decorativi risalenti a quell’epoca e di tema non sacro realizzati su edifici civili che non siano castelli o residenze signorili. Alcuni aspetti iconografici e stilistici rimandano alla produzione dei Baschenis, altri rivelano una componente veneta.
What's Your Reaction?
Excited
0
Happy
0
In Love
0
Not Sure
0
Silly
0

© 2021 Green Press Environmedia - Servizi Editoriali.
Martina Valentini p.iva 02089320515. Tutti i diritti riservati.

Scroll To Top